Cosa stabilisce e perchè si chiede la sua revisione.













Il Codice della famiglia in vigore in Algeria dal 1984 sancisce la minorità civica delle donne, facendone delle cittadine di serie B e discriminandole fortemente nell'ambito delle relazioni familiari, con pesanti conseguenze anche economiche:
  • necessità di un tutore maschio per concludere il matrimonio;
  • dovere di obbedienza al marito(il che significa che il marito ha il potere di impedire alla moglie qualsiasi attività, lavorativa e non, al di fuori della famiglia;
  • poligamia;
  • diritto unilaterale di divorzio riconosciuto allo sposo(il divorzio può intervenire per semplice volontà del marito: ripudio - art.48)
  • domicilio coniugale spettante di diritto al marito in caso di divorzio;
  • tutela dei figli in capo al marito anche se la donna ne ha l'affidamento(il che significa che la madre, senza l'autorizzazione paterna, non può neppure iscrivere a scuola i figli nè consentire interventi chirurgici);
  • divieto per le donne di sposare un non-mussulmano.

A tutto questo si aggiungono le discriminazioni in materia di successione: la donna eredita la metà dell'uomo, qualunque sia il suo apporto al patrimonio comune (nella pratica, questo significa che in caso di morte del marito, ad esempio, la donna eredita meno dei parenti collaterali maschi di quest'ultimo: i frutti del lavoro di una vita sono ereditati più dai parenti del marito che non dalla moglie e dalla/e figlia/e. Con il terrorismo degli ultimi anni questo tipo di drammi si è moltiplicato in maniera esponenziale).

Il Codice della famiglia, contro il quale il movimento delle donne democratiche si è mobilitato fin dalla sua discussione a porte chiuse nel 1981, è considerato il punto-chiave del compromesso storico fra il potere e il movimento islamista.

In occasione dell'8 marzo 1997, tredici associazioni di donne algerine hanno lanciato una campagna per la revisione e/o abrogazione dei 22 articoli più discriminanti del Codice: "Un milione di firme per i diritti delle donne nella famiglia".

La raccolta di firme è iniziata proprio l'8 marzo e prosegue tuttora in tutti i dipartimenti del paese, appoggiata dai partiti del polo democratico e dai giornali indipendenti, presso le cui sedi le cittadine e i cittadini algerini possono recarsi a firmare.

Pochi giorni prima dell'avvio di questa campagna - che è stata attivata anche in Italia ad opera di associazioni, gruppi e comuni (Coop. Una Città di Forlì; Libreria delle Donne, Firenze; "Missione Oggi", Brescia; Pro-Europa, fondata da Alexander Langer nel '94 a Bolzano; il Circolo Culturale Montesacro, Roma; il Comune di Caltabellotta, Agrigento; e tante altre) - vari gruppi femminili algerini hanno preparato e sottoscritto la seguente

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.


Signor Presidente,
la situazione grave e etragic ache vive io nostro paese ci pone, noi militanti del movimento delle donne del polo democratico, di fronte al dovere morale di interpellarla nella sua qualità di primo magistrato. Profondamente inquiete per il degrado della sicurezza pubblica e della situazione socio-economica, temiamo il peggio.
La morte è diventata il nostro pane quotidiano. Le deflagrazioni delle bombe, le grida delle donne stuprate, il pianto e le suppliche di bambini, di donne e di uomini suppliziati risuonano in noi. Gli assassini hanno raggiunto una rara barbarie e una soglia di demenza finora senza eguali. L'angoscia della morte non ci abbandona più, peggio ancora: essa abita i nostri bambini. Tutti questi orrori non possono lasciarci indifferenti. Alcune domande ci assillano: come può il terrorismo essere "residuale" e "vinto" e continuare a sterminare dei villaggi interi, a seminare morte e desolazione a colpi di autobombe, a sgozzare, a decapitare ....... a purificare. Ci mancano le parole per dirle la nostra rivolta e il nostro dolore, di fronte al dramma quotidiano che viviamo. Ci mancano le parole perchè le parole hanno perso il potere illusorio di tranquillizzarci. Ci ancano le parole perchè di fronte a una così grande sofferenza e a dei traumi di queste proporzioni, la decenza ci impone la sobrietà del parlare e ci chiama all'azione.

Il terrorismo integrista non è una fatalità e ancor meno un'alternativa di società.
Il degrado della sicurezza pubblica fa delle donne le facili prede dei terroristi. Alle donne è intimato di piegarsi al loro diktat, quando non sono giustiziate o violentate dai gruppi islamici armati. Quelle che ne scampano non beneficiano neppure dello status di vittime del terrorismo. Peggio ancora: da vittime, esse divengono accusate. Sono destinate alla vergogna proprio nel momento in cui hanno più che mai bisogno di essere sostenute per superare questa prova dolorosa, dalle loro famiglie e dalle istituzioni dello Stato. L'incuria e lo sperpero eretti a sistema di gestione aggravano gli effetti già di per sé disastrosi della globalizzazione dell'economia e dei piani di riaggiustamento strutturale. L'impoverimento e la miseria hanno colpito interi strati della nostra società e hanno delle ripercussioni ancora più drammatiche sulle donne sole, abbandonate, gettate in strada da una legge ingiusta: il codice della famiglia.
Malgrado gli enormi sacrifici e l'ingegnosità di cui danno prova la maggioranza delle donne, esse non riescono più ad assicurare il minimo vitale alle loro famiglie. Alla paura di vedere i loro cari uccisi o mutilati da una bomba, si aggiunge per loro l'angoscia di vedere il congiunto perdere il lavoro e i figli ingrossare le file dei disoccupati, dei delinquenti oppure dei terroristi, con la disperazione come sola prospettiva. Quanto al pugno di donne che occupano un impiego, esse sono le prime sacrificate sull'altare delle misure di compressione degli effettivi e di pre-pensionamenti, quando non accusate di essere usurpatrici di posti di lavoro da parte di chi è incapace di offrire altre prospettive al paese.
Noi siamo convinte che esistono delle soluzioni.

L'Algeria dispone di potenzialità importanti, sia in risorse umane che naturali e materiali, per farcela.
A condizione di privilegiare l'investimento produttivo creatore di lavoro; di incoraggiare la partecipazione delle donne e dei giovani a questo sforzo creativo; di smettere di marginalizzare la generazione che ha realizzato con le proprie forze la costruzione delle basi di uno Stato moderno.
Di questa generazione, che rappresenta l'Algeria più vitale, più competente e patriottica, di questa generazione il paese ha bisogno.
L'avvenire dipende da ciò che succede oggi sui banchi delle scuole. La scuole deve, lungi dagli indottrinamenti, preparare i bambini ad affrontare il secolo. E' nostro dovere e dovere dello Stato in particolare, far sì che la scuola diventi un luogo di conoscenza, di valorizzazione e di apertura verso i valori positivi prodotti dalla nostra società e dall'umanità. Non vogliamo più che l'intelligenza dei nostri bambini sia mutilata, che la loro sensibilità sia soffocata e la loro infamzia confiscata. L'attuale sistema educativo mette in pericolo il nostro paese, Stato e società. La sua riforma radicale è un'esigenza mdi salvaguardia nazionale. Noi siamo marginalizzate nel nostro paese da un codice della famiglia che organizza la nostra inferiorità e ci colpisce di incapacità nella gestione stessa delle nostre vite e di quelle dei nostri figli. Abbiamo a che fare con un'ingiustizia storica. Uno Stato che rende inferiore la metà della sua popolazione amputa la società, di cui conduce in destino, di una parte di sé. Esso porta di fronte alla storia la pesante responsabilità di strumentalizzare la discriminazione.
L'Algeria è la nostra patria e la patria dei nostri figli. E' per lei, è per loro che noi continuiamo a resistere e ad impegnarci nella costruzione di un'Algeria portatrice di vita e di speranza. Un'Algeria democratica e repubblicana. A ciascuna delle nostre rivendicazioni di uguaglianza, di giustizia, di libertà e di dignità, i sostenitori dell'integrismo e del conservatorismo qui - e i loro alleati altrove -, ci accusano di essere estranee al nostro popolo. Noi siamo le eredi della Kahina (condottiera a capo di un regno nel settimo secolo, quando in occidente non c'erano donne con questo potere), di Fatma N'Soumer, di Hassiba Ben Bouali ....., queste combattenti per la libertà e per la dignità.
Noi siamo la generazione delle donne che hanno fatto il 22 marzo 1994, quelle donne che hanno sfidato il silenzio e la paura per dire no alla fatalità e alla morte.

Signor Presidente, nella sua qualità di primo magistrato, Lei ha la responsabilità di fronte alla Storia, di prendere le misure necessarie per la salvaguardia dell'Algeria. Queste misure esigono che il potere prenda posizione chiaramente e decida con urgenza fra due progetti di società inconciliabili: o un'Algeria democratica capace di assicurare la dignità ai suoi figli, di raccogliere le sfide del ventunesimo secolo e di imporre il rispetto alle altre nazioni o un'Algeria teocratica e oscurantista, che sarà edificata sui nostri cadaveri e su quelli dei nostri bambini. Il salvataggio dell'Algeria significa per noi, donne democratiche, essere reintegrate nei nostri diritti legittimi di cittadine a pieno titolo con l'abrogazione del codice della famiglia.
Questa è giustizia, questa è la repubblica, questa è democrazia, principi per i quali le donne si sono sempre battute, spesso al prezzo della vita.

Algeri, 5 marzo 1997

Afepec (Association Féminine pour l'Epanouissement de la Personne et l'Exercice de la Citoyenneté) - Collectif Bnet Fadhma N'Soumer - Défense et promotion des droits des femmes - FAUED - Femmes et communication - La citoyenne - RACHDA - RAFD - SOS Femmes en détress.





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