I PRIMI TORNEI

Cosí, dal 1835 circa, la nuova generazione scacchistica caratterizzò l'avvento di giocatori come LaBourdonnais, McDonnel, Saint Amant, Loewenthal, Harrwitz, Kieseritzky, tutti campioni dallo stile spericolato, a doppio taglio. Nel 1851 si giocò il primo grande Torneo Internazionale, a Londra, strutturato ad eliminazione diretta e non "all'italiana", come gli attuali tornei internazionali sono invece oggi organizzati. Vinse, tra la sorpresa di tutti, il giovane tedesco Adolf Anderssen, che precedette nell'ordine Williams, Wyvill e il grande favorito del torneo, l'inglese Howard Staunton. Grande giocatore d'attacco, dallo stile spettacolare e sempre teso alla ricerca della combinazione, Anderssen sgominò gli avversari con la sua classe limpida, crlstallina: sia gli appassionati che la stampa lo considerarono, dopo quella strepitosa affermazione, l'ideale campione del mondo anche se il titolo non era ancora "ufficiale". Quasi nel frattempo, però, dagli Stati Uniti, giungevano notizie strabilianti a proposito di un ventenne di New Orleans, di nome Paul Morphy. Definito dai più un autentico talento della natura, il giovane Morphy, dopo aver stravinto il Torneo di New York, davanti a Paulsen, stupí l'opinione pubblica con una trionfale tournee attraverso gli States. Tra match, esibizioni simultanee e alla cieca, Morphy dimostrò di essere un autorevole candidato alla palma di miglior giocatore del mondo: difatti, nel 1857 sbarcò in Europa e, dopo aver letteralmente stritolato i vari Harrwitz, Loewenthal, Bird e Owen (Staunton si rifiutò sempre di giocare con lui, adducendo scusanti varie), riuscí finalmente a organizzare un match con Anderssen. Anche un campione eccezionale come il tedesco ben poco pote fare contro la straripante e geniale arte combinativa del fenomenale americano: Morphy prevalse per sette vittorie a due, e due patte. Ancora oggi, egli può essere considerato come il "mito" assoluto della storia degli Scacchi, infallibile nelle analisi, fantasioso e determinato negli attacchi, addirittura colossale nella tecnica del mediogioco. Tornato negli Stati Uniti, interruppe molto presto la carriera scacchistica, per dedicarsi al lavoro (era avvocato). Colto, ancora giovane, da turbe mentali e mania di persecuzione, trascinò per anni una vita semisolitaria, al limite della paranoia, prima di morire, nel 1884, fulminato da infarto. Aveva 47 anni. Nonostante il rapido dissolversi della "meteora Morphy", gli Scacchi continuavano a muoversi, ad evolversi, e sempre nuovi giocatori comparivano nel grande "Barnum" della scacchiera: Paulsen, Blackburne, Zuckertort, Winawer, lo stesso Anderssen che, uscito Morphy di scena, riprese il suo predominio, prima di venir sfidato, nel 1866, da un certo Wilhelm Steinitz, cecoslovacco residente in Austria, che lo sconfisse divenendo cosí il primo campione del mondo "ufficiale". Steinitz rivalutò in un certo qual modo "la scienza esatta applicata agli "scacchi", portando il gioco verso dimensioni posizionali, magari aride e prive dei dettami romantici ancora in voga, ma tremendamente efficaci: solidissimo, una vera roccia, era solito giocare posizioni chiuse, estenuanti, che tendevano a "paralizzare" I'avversario mediante laboriose, sapienti manovre per linee interne, fino a esplodere in chiarissimi vantaggi tattici. Sarebbero passati 28 anni prima che lo scettro di campione del mondo passasse a Emanuel Lasker. La più spiccata caratteristica di questo giocatore (in un'epoca nella quale, tra l'altro, emergevano altri formidabili campioni come Cigorin, Tarrash, Mieses, Marshall) era quella di conservare gli stilemi e i dogmi classici delle nuove tendenze posizionali e "ipermoderne", ma contemporaneamente di curare al massimo l'aspetto psicologico del gioco: anzitutto, imponeva agli sfidanti al titolo da lui detenuto regolamentazioni e condizioni quasi impossibili da accettare, come, ad esempio, match molto brevi (con un numero prestabilito di partite), vittoria dello sfidante solo nel caso che quest'ultimo avesse almeno due punti di vantaggio, ripetizione del match per convalidare definitivamente il passaggio del titolo stesso all'eventuale nuovo detentore, ecc. Oltre a questi cavilli, Lasker ricorreva oltretutto a sottili pressioni psicologiche, sia a mezzo stampa che durante le proprie conferenze nei circoli, contro gli avversari, evidenziandone i difetti, analizzandone freddamente ogni manchevolezza tecnica, e ponendoli cosí in condizione di disagio durante i tornei e gli incontri ufficiali. ciò, unito alla propria indubbia forza di enorme giocatore, gli consentí di rimanere campione del mondo per un periodo incredibilmente lungo, e cioè dal 1894 al 1921. In questo arco di tempo, respinse gli attacchi di giocatori del calibro di Steinitz, Marshall, Tarrash, Janowski, Schlechter. Nel 1921, però dovette arrendersi al gioco implacabile, demolitore, di Jose Raul Capablanca, trentatreenne cubano residente negli Stati Uniti, che già nel 1911, al Torneo di San Sebastiano, aveva travolto i migliori giocatori dell'epoca. Donnaiolo, giocatore di baseball e di tennis, uomo raffinato e brillante, Capablanca era in possesso di un "quid" scacchistico innato, superlativo: raccontava addirittura di non aver mai aperto un libro di scacchi in vita sua. Bluff o no la sua affermazione, raramente si e visto sulla scacchiera un gioco di tale mirabile concezione e profondita strategica. Batterlo era pressochè impossibile, perchè giocare contro di lui equivaleva a cercare di colpire un'ombra: manovrando in tutta sicurezza, cioè senza mai azzardare continuazioni rischiose, Capablanca accumulava gradatamente, durante la partita, apparentemente minimi vantaggi di posizione, avvalendosi del la propria stupefacente maestria strategica. Quindi, soffocava l'avversario nel "finale" che risultava forzatamente superiore. Per ben otto anni, dal 1916 al 1924, egli fu imbattuto, nonostante lo scacchismo abbia vantato, a quei tempi,campioni entrati nel mito: Nimzowitsch, Rubinstein, Vidmar, Spielmann, tanto per citarne alcuni.