LA DISTRUZIONE

Sul finire del IV secolo S. Ambrogio, vescovo di Milano e allora anche metropolita dell'Emilia, tornando da un viaggio fatto in questa regione, scrive e lamenta di aver visto, da Claterna a Bologna e oltre lungo l'Emilia, uno spettacolo miserando di città semidistrutte: semidirutarum urbium cadavera (cadaveri di città semidistrutte). Fra questi cadaveri c'era anche quello di Forum Cornelii? Ambrogio comincia la sua enumerazione da Claterna, e questo non prova nulla riguardo ad Imola, poichè il vescovo milanese potrebbe allora essersi spinto soltanto fino a Claterna e non oltre. Probabilmente quella volta la distruzione non toccò Imola, ma giunse ben vicino, e non era la prima volta.

Cento anni innanzi, nel 271, aveva visto orde di Alemanni attraversarla lungo la via Emilia, dirette a Roma. I Barbari furono arrestati da Aureliano alle porte di Fano, e i superstiti tornarono indietro per rientrare nei paesi donde erano venuti. Che nell'uno e nell'altro passaggio, la prima volta vittoriosi e perciò esultanti, la seconda volta sconfitti e perciò esasperati e rabbiosi, essi non abbiano toccato i beni delle città attraversate, che non abbiano fatto la minima devastazione di esse, non è facile pensarlo: e ad ogni modo Imola, che abbia o non abbia subito danni, avrà vissuto per lo meno giorni di terrore. Se nel 271 e intorno al 380 la distruzione le fu risparmiata, più tardi toccò anche a lei. Quando? è difficile dirlo.

La testimonianza di Agnello Ravennate assicura esplicitamente che i Longobardi distrussero da cima a fondo Imola e par che egli alluda al primo arrivo dei Longobardi, e quindi al 570. Lo spazio di tempo fra l'età di Ambrogio e l'arrivo dei Longobardi resta completamente oscuro. Le parole di Agnello sono esplicite: destruxerunt forum cornelium et consummata est civitas ab eis (i Longobardi distrussero Forum Cornelii e la città fu da essi rasa al suolo).Dunque, fu una distruzione totale. Il fatto spiega molte cose. Anzitutto spiega come mai di Imola romana non siano rimasti ruderi d'una certa mole, come muraglie, capitelli, colonne, quali ne restano di Roma e di tante città romane. Non già che si debba accusare i Longobardi d'avere polverizzato ogni cosa, sarebbe assurdo pensarlo; ma la città devastata rimase deserta e a poco a poco tutto ciò che vi era rimasto utilizzabile fu asportato.

La popolazione atterrita fuggì dalla città distrutta e, soprattutto, non pensò a riedificarla sul posto. L'accaduto li aveva avvertiti che la sua posizione a cavallo della via Emilia era troppo pericolosa. Essi si rifugiarono in parte sulle alture delle colline, in parte a S. Cassiano e vi costruirono due rifugi murati, il Castrum Imolae e il Castrum S. Cassiani. Gli uni ubbidirono ad un istinto di sicurezza e si scelsero una posizione posta in altura e a distanza dalla via Emilia; gli altri, spinti da una religiosa fiducia nella tezione del Santo Martire, si strinsero intorno alla sua tomba, sotto le mura della cattedrale e accanto al vescovo.

Il castrum Sancti Cassiani si trovò certamente nella zona cimiteriale antica, perchè il martire, come allora usava, era stato sepolto lì e perciò la cattedrale, l'episcopio e la casa capitolare erano sorti nell'area cimiteriale, forse alquanto arretrati rispetto alla via Emilia. Quando la popolazione vi si rifugiò vi sorsero nuove case e il luogo fu fortificato e cinto di mura.

Quanto al Castrum Imolae, tutti gli scrittori sono d'accordo nell'affermare che esso era situato sul monte Castellaccio o almeno alle sue falde: ma in verità la cosa non pare probabile. Anzitutto, sia negli scavi fatti dallo Scarabelli, sia in quelli fatti in altre occasioni, sul Castellaccio non è mai venuto in luce il minimo resto di costruzione antica. Lo Scarabelli vi trovò sulla sommità tre tombe romane e ciò è contro l'ipotesi che nel Medioevo il luogo si era abitato. Inoltre, scavando le sue trincee esplorative, egli mise in luce diversi strati testimonianti abitati preistorici e giunse fino al terreno vergine, senza trovarvi resti di murature medievali. In secondo luogo, non si vede perchè una popolazione atterrita, che cercava un luogo sicuro e, si immagina, lontano dalla via Emilia, la quale costituiva un vero pericolo di invasione, fosse andata a costruire il suo rifugio a poche centinaia di metri dalla città distrutta, e proprio a poche decine di metri dalla pericolosa via. Tanto sarebbe valso che quei fuggiaschi fossero rimasti in città.

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