L' OTTOCENTO E IL NOVECENTO

Il secolo XIX si aprì con una strage di edifici sacri. Imola nel 1805 aveva 41 chiese. I decreti del regime napoleonico ne soppressero 31. La restaurazione pontificia, dopo il 1815, potè riaprirne 9: ben 22 chiese scomparvero definitivamente, demolite o trasformate in abitazioni, in magazzini, in botteghe. Erano tutte chiese antiche e antichissime, come quella quattrocentesca di S.Pier Crisologo e la vetusta pieve di S. Lorenzo: la loro scomparsa, aggiunta ai settecenteschi rifacimenti di altri venerandi edifici quali S. Cassiano, S. Maria in Regola, il Palazzo del Comune ed altri, rende anche troppo veritiera l'affermazione che Imola, nel giro di pochi decenni, cambiò volto e non in meglio.

Dopo l'Unificazione nazionale si riprese a costruire: ma ormai si costruì a scopi meramente funzionali, senza alcuna pretesa d'arte: la stazione ferroviaria (1867), un manicomio (1880), un mattatoio (1867) e simili altri fabbricati, utili indubbiamente, ma non tali da abbellire una città o da conferirle un qualche contrassegno di spiritualità. Pochissimi gli edifici degni di nota per decorosa dignità, come il palazzo della Cassa di Risparmio; e qualche sobria e felice opera di restauro, come quello del palazzo Pighini. Sul finire dell'Ottocento e l'inizio di questo secolo fu invece notevole l'attività urbanistica. Si volle dare respiro e possibilità di espansione alla città: per questo di cominciò col creare viali alberati (viale della Stazione, 1886; viale del Cappuccini, 1867); poi si abbattè l'intera cinta delle mura e alcune porte (Pia, Appia, Romana, d'Ilone), si colmarono il fossato della città e quello della rocca per creare viali di circonvallazione e, più tardi ancora, si volle dotare Imola di qualche esempio di archittettura littoria (Centro cittadino). Così Imola acquistò i lineamenti di una città moderna: s'ingrandì, raddoppiò la sua popolazione, intraprese attività industriali; si avviò insomma a divenire un'attiva e fiorente città di provincia.


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